Texting e relazioni nel mondo virtuale

3 Dicembre 2021

La maggior parte del tempo trascorso su smartphone dagli adolescenti è utilizzato per inviare messaggi ad amici, controllare i social, ascoltare musica e vedere film. Secondo una ricerca condotta dall’Osservatorio scientifico dell’associazione no profit “Social Warning – Movimento Etico Digitale” otto ragazzi su dieci, con età compresa tra gli 11 e i 18 anni, trascorrono più di quattro ore al giorno sui social utilizzando lo smartphone. In pratica, un totale complessivo di due mesi all’anno.


Affettività virtuale nell’era digitale

Abbiamo sempre considerato che amore, relazioni, affettività e sesso avessero bisogno di presenza, di corporalità. E che la presenza e la corporalità fossero la base per intessere qualsiasi tipo di legame. Ma l’era digitale ha cambiato le carte in tavola. C’è qualcosa tra di noi, ora – è uno smartphone, un tablet, o un pc – e ci permette di essere fisicamente lontani, ma vicini; o addirittura di sentirci vicini senza esserlo fisicamente mai stati.
Quali sono, dunque, le nuove regole? Come si gioca a questo gioco?
Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Franca Beatrice, psicologa e psicoterapeuta, e abbiamo iniziato la nostra conversazione partendo proprio dal tema della presenza o della non presenza. Qual è il segreto del successo delle chat?

Io credo che il successo delle chat dipenda dal fatto che con questo strumento si possono ampliare tempi e spazi dedicabili alla comunicazione e quindi alle relazioni. Il mondo non virtuale prevede incontri di persona, l’esserci nello stesso tempo e luogo, con il corpo e con la mente. Ha regole di comportamenti e limiti ben più vasti e precisi del virtuale, che esclude informazioni relazionali quali la fisicità dell’altro e la propria, gli sguardi, le imperfezioni, il tono della voce, le titubanze, che possono farci sentire maggiormente esposti, direi quasi indifesi.
È proprio l’azione congiunta fra la facilitazione che nasce da ciò che viene ampliato dal virtuale e la importante semplificazione emozionale, a fare apparire più conveniente misurarsi in un terreno, quello virtuale, nel quale è più semplice potersi servire di meccanismi di difesa che proteggano dal proprio vissuto di esseri “mancanti o inadeguati”. Siamo sempre troppo grassi, troppo magri, troppo alti, troppo piccoli, troppo emotivi e così via.


La semplificazione emotiva dei social

Ecco che allora questa semplificazione emotiva dovuta all’omissione di informazioni relazionali che mettono in luce anche le nostre fragilità, le nostre debolezze – insomma la parte più squisitamente umana di noi, ma anche la più intima e quindi la più complessa da gestire – favorisce una certa immediatezza – seppur superficiale – nella creazione di legami. E allo stesso modo, con la stessa facilità, il legame diventa, a sua volta, relazione.

La relazione può iniziare nel reale e proseguire nel virtuale, per esigenze prettamente spazio-temporali.
Come dice la Dottoressa Franca Beatrice: non ci sono, ma sono ugualmente con te.
Altre volte, la relazione inizia nel virtuale, per poi tramutarsi in una conoscenza reale. Ma è possibile anche una terza opzione, nella quale il passaggio dal virtuale al reale non è nemmeno contemplato. Si tratta di una vera e propria textlationship, ovvero di una relazione che nasce e si sviluppa esclusivamente tramite messaggio, offrendo la possibilità di tessere una comunicazione apparentemente intima, ma necessariamente sfuggente ed evasiva poiché destinata a non concretizzarsi mai. 


Secondo la Dottoressa Franca Beatrice l’inganno della texlationship è un autoinganno

Si  tratta di una vera e propria textlationship, ovvero di una relazione che nasce e si sviluppa esclusivamente tramite messaggio, offrendo la possibilità di tessere una comunicazione apparentemente intima, ma necessariamente sfuggente ed evasiva poiché destinata a non concretizzarsi mai.

Per un verso questo mezzo potrebbe essere una cauta iniziazione, una pratica che facilita l’abbattere parziale di impacci e di timidezze paralizzanti, potremmo intenderla come una sorta di palestra dove collaudare la propria capacità di farsi desiderare e ammirare, ma se perdura per un tempo indefinito e indefinibile, se non progetta altri modi, diviene un espediente psicologico inconsapevolmente organizzatore per evitare le complessità e le difficoltà di una relazione piena. Certamente c’è un inganno, innanzitutto però, c’è un autoinganno; solo secondariamente inganniamo o siamo ingannati dall’altro. Se perdura senza cambiamenti diventi una gabbia con sbarre trasparenti ma robuste da cui è molto difficile uscire.
Per esempio, sto lavorando con un giovane paziente che oggi ha 23 anni: dall’adolescenza – 17 anni – sino ad oggi, quindi cinque, sei anni, intrattiene con una ragazza conosciuta su un social una relazione ad alta intensità, che definirei letterario-erotica. Non si sono mai incontrati, l’ipotesi di un incontro è vissuto, credo da entrambi, non solo con imbarazzo ma con la certezza che se lo facessero  finirebbe tutto e la sola proposta di un incontro nella vita reale provoca paura ed è vissuto come un tradimento del loro patto sublime.

La sfida dei giovani di oggi, della Generazione Z, che ha conosciuto soltanto un mondo post-web, è proprio quella di sottrarsi a quell’inganno , o meglio ancora,  a quell’autoinganno.
Estendere i confini del reale, senza però essere sradicati dal reale. Mettersi in gioco in progettualità concrete, dando seguito a una passione. E infine, avere il coraggio dell’incontro in carne e ossa, che può avvenire soltanto  portando con sé, il proprio personale corredo di paure e fragilità. 

Patrizia Dall’Argine