Squid Game: la serie tv “over 14” che divide. Censurare o educare i ragazzi?
20 Gennaio 2022
In onda su Netflix dal 17 settembre scorso, “Squid Game” è la serie TV più chiacchierata del momento. In poco meno di un mese ha battuto ogni record di visualizzazione, salendo sul podio delle serie televisive più viste di sempre. Un successo che ha diviso le opinioni: c’è chi la considera una serie TV geniale e chi diseducativa nei confronti dei ragazzi. Dove sta la verità? È giusta la censura o andrebbe semplicemente fatta una maggiore formazione ai giovani? Se lo stanno chiedendo giornalisti, critici, sociologi, intellettuali, psicologi e ce lo siamo chiesti anche noi.
“Squid Game”: un gioco pericoloso
Il tema della serie TV è il gioco, ma non inteso come lo intendiamo noi. Si tratta, piuttosto, di un “gioco” per la sopravvivenza.
La storia ha come protagonisti uomini e donne, con gravi problemi di soldi, che accettano di partecipare a diverse attività ludiche per aggiudicarsi un premio finale. I giochi sono semplici e ispirati all’infanzia dei personaggi coinvolti, ma c’è una sostanziale differenza rispetto al gioco classico: chi vince si aggiudica un premio in denaro, chi perde, invece, paga con la vita. Un epilogo crudo,certo, ma analogo a tante altre serie TV che sono state trasmesse ben prima di “Squid Game”.
Uno spaccato della società moderna estremizzato
Cinismo, disperazione, orrore, ma anche passione, gentilezza e coraggio: sono questi gli ingredienti che caratterizzano le nove puntate di “Squid Game”.
Un mix di sentimenti portati all’estremo che caratterizzano uno spaccato della società moderna, in cui ogni personaggio è la personificazione di pregi e difetti dell’animo umano.
La caratterizzazione è fatta così bene che risulta facile immedesimarsi, disprezzare e compatire ogni singolo protagonista coinvolto. E, forse, uno dei segreti del successo della serie è proprio questo: il realismo dei personaggi e la forte satira sociale che viene fatta.
Un’altra trovata geniale, che nessuno prima d’ora aveva fatto e che ha contribuito sicuramente al successo della serie, è il fatto di associare la morte alla malinconia dell’infanzia. I personaggi affidano la propria sopravvivenza ai giochi che si facevano da bambini, come a sottolineare che il senso di ogni cosa è lì, nel mondo dell’innocenza. Quel mondo che, da adulti, ci si dimentica di aver vissuto.
Censurare per evitare l’emulazione o educare i ragazzi?
Il fatto di emulare i protagonisti di serie TV famose è sempre esistito.
Basti pensare a chi cercava di imitare l’onda energetica del cartone giapponese “Dragon Ball” o chi scriveva pettegolezzi anonimi per imitare i personaggi di “Gossip Girl”.
Una costante generazionale che è rimasta anche con le serie TV che sono venute dopo: la “Casa di carta”, per esempio, dove i ragazzi ribattezzavano gli amici coi nomi delle città o sfoggiavano le maschere di Dalì indossate dai rapinatori. Era evidente, quindi, che sarebbe successo lo stesso anche con Squid Game.
A stupire, quindi, non sono gli atteggiamenti dei ragazzi ma le segnalazioni di insegnanti e genitori che chiedono di censurare la serie TV. Il motivo? La diseducazione.
E qui nasce spontanea una domanda: se Netflix ha consigliato la visione a un pubblico maggiore di 14 anni, perché ragazzini di 12 e 13 anni hanno visto Squid Game? La risposta è molto semplice: perché trascorrono la maggior parte del proprio tempo su internet e sui social, dove vengono trasmessi senza filtri gli spezzono più significativi e violenti della serie.Se la censura è la soluzione, quindi, andrebbe censurata tutta la rete.
Eppure c’è qualcosa di più semplice che si potrebbe fare, senza arrivare a scelte drastiche. Ovvero controllare maggiormente i cellulari e i dispositivi elettronici con cui, ogni giorno, i più giovani si interfacciano.
Oggi sembra più facile eliminare invece che educare a un uso positivo della rete. Ma non è censurando che i ragazzi imparano come ci si comporta su internet. In assenza di filtri, senza una comunicazione diretta e una serie di attenzioni costanti, è normale che i bambini accedano a un mondo digitale non adatto alla loro età.
E in quest, Squid Game è solo la punta dell’iceberg.
Ripartire da una buona educazione digitale
Costruire invece che denunciare, educare invece che censurare: è questo che bisognerebbe iniziare a fare per il bene dei ragazzi. Ripartire da una “buona” cultura del digitale, dall’informazione e dalla formazione. Contribuire al futuro dei ragazzi significa insegnarli cosa possono fare in rete e quali opportunità posso cogliere.
Unblaming è un progetto che si propone di fare questo, promuovere una “buona” cultura dell’uso del digitale e valorizzare i ragazzi con uno storytelling visivo e autoriale che li vede come protagonisti.
Francesca Conti